Il Vermentino, il fritto di pesce e le varianti regionali
Quando il pesce si tuffa in padella
La preparazione di questo piatto così appetitoso, che sembra risalga addirittura ai tempi degli antichi Romani, ha molti punti in comune nelle varie versioni regionali, come l’infarinatura preliminare del pesce e la cottura in olio d’oliva. Tra le eccezioni il fritto siciliano con i pesci passati nella semola anziché nella farina e quello di Porto-Corsini sulla Riviera Romagnola che è pastellato. Oggi la composizione del fritto si è un po’ standardizzata e comprende di solito piccoli pesci, anelli di calamari, filetti e gamberetti. Tuttavia alcune ricette tradizionali sono ancora in uso in alcuni locali lungo le coste e nelle case, anche se non è affatto un piatto semplice perché, come sosteneva Escoffier, friggere è un’arte da apprendere con amore (e tempo, aggiungiamo noi).
E poi il fritto perfetto e digeribile deve essere asciutto, croccante e appena tolto dalla padella, quindi frjienno magnanno come dicono a Napoli. Il fritto più apprezzato è quello di paranza, dal nome delle tipiche barche a scafo tondo presenti sia nel Tirreno sia nell’Adriatico, che gettano le reti stando appaiate e pescano nasellini, merluzzetti, piccole triglie, mini gamberetti, pesciolini e il novellame, pesci al primissimo stadio di sviluppo.
In laguna, dove le acque sono tra il salmastro e il salato come quelle dell’Alto Adriatico, il fritto è strettamente legato alla stagionalità ed è perfetto quando comprende piccole anguille, sarde (o sardoni), soglioline, piccoli crostacei e le deliziose moleche (molli), cioè i granchi “nudi” perché stanno mutando il carapace. Questa frittura era una volta la specialità dei fritolini, piccoli locali rustici nella zona di Venezia. Al Sud trionfa il cuoppo di mare napoletano, uno tra i più gustosi street food conosciuti: un cono di carta paglia riempito al momento con il fritto fumante e che si mangia per strada. E dove non c’è il mare? Il pesce sarà quello di lago e di fiume: alborelle e agoni infarinati, mentre persico, bottatrice e trota vengono passati nell’uovo e poi nel pangrattato oppure nella farina e poi nell’uovo. Tutti si fanno poi dorare nel burro nelle regioni al Nord mentre torna a prevalere l’olio d’oliva nelle regioni del Centro-Sud.
di ENZA BETTELLI
Articolo tratto da “Il Sommelier”
L’ abbinamento che proponiamo con la frittura di pesce, meglio se con totani e calamari è il nostro Stradivino, Vermentino in purezza. dalle note agrumate e fresche, con una equilibrata acidità, grado alcolico 13,5%.
Di seguito vi riportiamo anche gli abbinamenti di 3 importanti Sommelier FISAR:
L’abbinamento di Marzio Berrugi Quando si va per fritto immediato è il dubbio: olio di oliva o di semi? Alto punto di fumo e tendenza a marcare il gusto del fritto il primo, molta più attenzione alla temperatura e poca percezione della sua presenza nel gusto finale il secondo. Poi occorre conoscere ciò che si frigge, la sua struttura i suoi aromi perché non si può avere nella stessa padella i finissimi aromi delle triglioline con i più marcati e densi sapori di acciughe o con i grassodolci gusti di seppie e totani. Così marcata differenza di percezioni gustative non può essere avvolta da uno stesso vino, i colleghi mi capiranno. Con un fritto di pesce azzurro dove oltre ad acciughe friggo filetti di pesce come leccia, sgombro, palamita e cozze si impone l’uso di olio di oliva che qui si inserisce bene perché la sua struttura non distorce il gusto finale, anzi lo completa: dopo aver fatto uso parsimonioso di sale e soprattutto di limone, ecco che un rosato di non alta struttura magari da Aleatico (arranca la tipologia dolce e tanti produttori si sono riconvertiti) abbinerà alla perfezione. La sua morbidezza lega la spigolosità acidula/amaricante, il suo corpo ben terrà il pesce azzurro, la sua freschezza il grasso dell’olio di oliva. Di facile reperimento perché ormai presente in tanti listini della costa tirrenica ed anche dell’Umbria. Se friggo anelli o granfie di calamaro o totano la loro grassa dolcezza chiede oli meno invadenti ed il seme migliore che li produce è quello di arachide che non copre queste caratteristiche perché il suo contributo è appena percettibile. Bianchi freschi da Vermentino come Candia Colli Apuani i primi che vengono in mente, ma ce ne sono molti altri, basta che la loro freschezza vada pari passo con fin di bocca asciutto, non amaricante come la mandorla del friulano, tanto per intendersi. Infine la leggerezza profumata delle triglioline, sempre in olio di arachidi mi raccomando, che richiede cautela oltreché nel sale e nel limone anche nella scelta del vino che non deve sovrastare quell’eleganza: penso alla semplicità che può avere la Passerina di Offida o il Bianchello del Metauro. Un vecchio, famoso chef consigliava addirittura acqua gassata: giurava che toglieva il grasso non i profumi.
L’abbinamento di Giampaolo Zuliani Il fritto di pesce è un piatto che presenta intensi profumi freschi di pescato con note dolci di frittura, medie/alte percezioni di grassezza, leggere note amaricanti se vi è la presenza di pesciolini come alborelle, cotture veloci, e strutture delicate. Il vino dovrà avere quindi intensi profumi freschi, possibilmente con richiami minerali, percezioni immediate di acidità, delicata morbidezza, giovane e semplice di complessità, ed infine con un corpo ed un alcol contenuto. Queste sono le coordinate essenziali che portano, in base alla variabilità del pescato, ad individuare alcune denominazioni che aiutano ad armonizzare il piatto. Con un fritto di calamari e gamberi sul Collio friulano possiamo scegliere una Ribolla gialla giovane, delicata di struttura che offre un piacevole contrappunto di freschezza stemperando la naturale grassezza e sapidità del piatto. Con un fritto di paranza, leggermente più ampio di struttura gustativa per la presenza di pesci di lisca, invece possiamo trovare nel Ponente ligure il Pigato che presenta note iodate fresche, una struttura media legata più alla componente minerale che alcolica. Qualora il fritto preveda l’utilizzo di pesci di acqua dolce come anguille, trote e alborelle il territorio del Benaco può offrire spunti interessanti con i tipici chiaretti del Garda classico. Questi vini si adattano bene poiché dobbiamo ricercare un corpo più ampio e si può inoltre sfruttare la chiusura delicatamente amaricante del finale di bocca offrendo così un delicato contrappunto alla nota dolce del piatto.
L’abbinamento di Ugo Baldassarre Non c’è dubbio che i migliori compagni di viaggio, nell’ambito del gustosissimo percorso di abbinamento al fritto di pesce, siano i vini da vitigno Falanghina. Si tratta di una cultivar di eccezionale duttilità, da cui è possibile ricavare vini fermi, vendemmie tardive, passiti, spumanti e persino vini da invecchiamento. Introdotta dal nord della Grecia in epoca antichissima nelle aree più interne della Campania, la Falanghina, è poi trasmigrata nell’area vulcanica dei Campi Flegrei, dove ha trovato un habitat ideale in grado di accentuarne le caratteristiche di acidità e mineralità. Il Campi Flegrei Falanghina Doc, con i suoi profumi di macchia mediterranea e con le sue note saline, è il compagno ideale per il “fritto del Golfo di Pozzuoli”, ristretto esclusivamente alle cd “alicelle salate e mpepate”, alici di piccole dimensioni da mangiare intere, fumanti e croccanti; è anche il miglior vino per accompagnare il fritto di paranza, o “O cuoppo ‘e pesce” napoletano, in cui alle alici si aggiungono le zeppoline con alghe, gli anelli e i tentacoli di calamari. Se la frittura è ancora più variegata, come accade per “O cuoppo” di Cetara, è bene pensare ad un bianco leggermente più strutturato e con maggior ampiezza aromatica, come il Costa d’Amalfi Furore bianco Doc, uvaggio di Falanghina e Biancolella. Per altre fritture ancora più complesse, per quanto ancora appartenenti alla cultura dello street food, come la “fritturiedda” palermitana, in cui si aggiungono altri pesci azzurri, il “cicireddu” e il “maccaroneddu”, oltre a seppie e sardine, si consiglia un Alcamo Grillo Doc, con le sue spiccate note gessose e salmastre.