Il respiro del vino, nuovo libro di Luigi Moio
Armonia, fascino, seduzione, profumo, respiro
Libro grosso così il cui titolo è “Il respiro del vino”, scritto dal professore campano per “conoscere il profumo del vino e bere con maggiore piacere”. Libro che spazia dalla A alla Z nel mondo del vino, ambito che Moio frequenta da sempre, non solo per gli studi universitari di enologia, ma anche perché la sua famiglia ne produce da quattro generazioni, ma che a lui si è presentato sotto una veste diversa la sera del 6 ottobre 1991, quando in una cena a casa di amici in Borgogna scoprì la magia dei profumi del vino e, soprattutto, fu conquistato dal desiderio di individuarne i segreti più intimi attraverso la conoscenza delle molecole che determinano i profumi stessi. Da diversi anni, quindi, studiare i profumi del vino è diventata la passione e il lavoro del Professore e proprio l’attenzione riscontrata tra i suoi studenti – insegna all’Università di Napoli – i tecnici del settore e il pubblico quando affronta tale tematica lo ha spinto a scrivere il libro. La complicazione più grande, spiegava, è stata quella di coniugare la divulgazione con il sapere scientifico. “Qualcuno mi suggeriva di ignorare la chimica e di adottare un approccio narrativo”, ma alla fine la strada scelta, per quanto impervia, è stata quella che puntava a “coniugare l’apparente freddezza della chimica con l’accogliente calore della convivialità intimamente legata al vino”.
Ecco, quindi, che centrali diventano le molecole odorose, la loro struttura, il loro combinarsi, il loro sistemarsi su strati diversi e i sensi con cui noi le percepiamo. Quindi la vista, “il senso dei sensi”, l’udito, “il senso dell’equilibrio”, il tatto, quello che è diventato “il senso più esteso”, l’olfatto, “il senso dimenticato”, quello per più tempo abbandonato perché considerato il meno utile, e invece ora etichettato come il più affascinante, anche perché strettamente connesso con il gusto, al punto che spesso gustiamo di più con il naso che con la bocca. Infine il gusto, appunto, “il senso nascosto”, localizzato sul dorso nella lingua in maniera molto meno settoriale (dolce sulla punta, amaro in fondo, acido e salato ai lati) di quanto si crede. Gusto che si è arricchito di altre sensazioni: l’umami, ovvero il saporito, scoperto da uno studioso giapponese oltre 100 anni fa, ma rimasto sconosciuto fino al 2002, e il grasso. Ovvio che l’attenzione Moio – nella prima fase del suo intervento – si sia concentrata soprattutto sull’olfatto e sulle molecole odorose che, vagando nell’aria, seguono due strade per raggiungere l’epitelio olfattivo, organo collocato nella parte posteriore della cavità nasale, e intercettare i ricettori: una nasale diretta, attraverso le narici, e una retronasale. Il che genera delle evidenti differenze, dato che la prima cattura solo molecole che si agitano nell’aria, mentre 63 il secondo caso è relativo alle molecole che entrano in contatto con la saliva, generandole così di nuove. Da qui nasce la distinzione fra odore e aroma. Odore, ad esempio, di caffè che percepiamo da una moka; aroma di cui ci deliziamo nel momento in cui portiamo alla bocca il caffè stesso. Odore che per alcuni prodotti è quasi …inodore (quasi tutte le uve) ma che si trasformano completamente se masticati in bocca (mandorle). Olfatto che gli uomini utilizzano assai poco prima di portare un cibo alla bocca, tanto da considerare l’operazione un gesto poco educato, mentre gli animali non assaggiano se prima non hanno annusato, temendo per la loro incolumità. Olfatto, però, che anche grazie al vino è stato riscoperto e rivalutato, capace com’è di regalare emozioni uniche.
Perché è innegabile che senza la percezione degli odori difficilmente riusciremmo a capire che cosa stiamo bevendo, in particolare che vino stiamo assaggiando. Fondamentale – avvertiva Moio – affinché tale operazione di identificazione possa avere successo, è che ciascuno di noi abbia concluso un processo di apprendimento mnemonico dei caratteri sensoriali del vino e che questo presenti evidenti caratteri di tipicità, indipendentemente dall’annata e dallo stile impresso dal produttore. Ecco perché nella successiva fase, durata quasi tre ore, di identificazione degli 8 vini in degustazione, il professore ha più volte ripetuta la domanda se i vini fossero davvero in purezza, se fossero la reale espressione di quel territorio, se il produttore si attenesse scrupolosamente o meno a quanto dichiarato in etichetta. Tutto facile, quindi? Assolutamente no, soprattutto per chi – come tutti i presenti – per identificare profumi e vini ha sempre seguito vie che hanno a che vedere solo ed esclusivamente con l’analisi sensoriale e l’esperienza e non certo con l’indagine scientifica e molecolare proposta dal Professore.
Strade che l’enologo ha percorso fra gli sguardi di ammirazione dei “fisariani”, letteralmente catturati dalla sua capacità di identificare i vini affidandosi alle sue straordinarie conoscenze scientifiche, alla base della sua indagine olfattiva, prima, e solo in un secondo tempo, lontano quasi due ore, a quella gustativa. Un’indagine incentrata su vini bianchi e tutti monovitigno, cinque “solisti”: Chardonnay, Sauvignon Blanc, Gewürztraminer, Moscato, Riesling e tre “orchestrali”: Garganega, Vespaiolo e Trebbiano; una similitudine con la musica che Moio ha utilizzato, con indubbia efficacia, per evidenziare come l’espressione dei profumi varietali possa essere il risultato di una brillante “esecuzione” da parte di un solista di grande personalità nei vini con forte identità olfattiva, o piuttosto la melodia di un’orchestra in perfetta sintonia, nei vini con debole carattere varietale. Insomma, quella musica che ha sempre cercato in famiglia (ha quattro figli, ma solo il più piccolo sembra poter seguire quest’arte), il professor Moio l’ha trovato nel vino, inteso come armonia, fascino, seduzione, profumo. Respiro.
di LUCIANO CRESTANI
Articolo tratto da“Il Sommelier”