15 Luglio 2020

Intervista a Luigi Moio sul Paesaggio Italiano

L’ITALIA: UN MUSEO A CIELO APERTO DI PAESAGGI DISEGNATI DAI VITIGNI

luigi moio
Professor Moio condivide l’idea che i paesaggi ita­liani siano stati disegnati anche dai vigneti?

La viticoltura ha dato un contributo importantissi­mo al disegno del paesaggio italiano. Abbiamo una diversità incredibile di condizioni pedoclimatiche dalle Alpi fino alla Sicilia. Con un’enorme varietà di contesti geografici e di terreni che vanno da quelli calcarei, a quelle vulcanici, a quelli con rocce ar­gillose. C’è tutto e a queste realtà così differenti si sono adattati un gran numero di vitigni. Si pensi che la piattaforma ampelografica francese poggia su una decina, massimo dodici vitigni, che poi si sono diffusi un po’ dappertutto nel mondo e sono per questo diventati noti come i cosiddetti “vitigni internazionali”, noi ne abbiamo molti di più e tutti esclusivamente italici.

Come definirebbe il nostro Paese?

Direi che l’Italia è un museo a cielo aperto di viti­gni e di sistemi di allevamento. L’uomo ha dovuto pensarne uno per ogni zona. Ci sono aree con i ter­razzamenti a pergola, zone più pianeggianti dove c’è l’alberello, colline con sistemi a filari come il guyot e il cordone speronato. Questi giorni, questo momento di confinamento che ci sta facendo ri­flettere, ci deve servire per capire quanto sia bella la nostra Penisola. Tutti abbiamo sempre pensato di fare viaggi all’estero, di prendere aerei, trascu­rando spesso il nostro paese che, come tutti ben sappiamo, è il più bello del mondo.

Il vino è dunque bellezza?

L’Italia è il paese della bellezza assoluta, dell’ar­monia. Basti pensare alla Cappella Sistina, a Mi­chelangelo, Leonardo, Botticelli, alle città, i bor­ghi, le montagne, le colline, i litorali. Il mondo del vino rispecchia questa bellezza che all’estero, a volte, ci invidiano. Il fascino del vino è dato anche dalla sua variabilità: non esistono infatti vini so­vrapponibili, uguali tra loro. Sono legati ai diversi contesti. Ma anche alla ricchezza del cibo italiano. La nostra gastronomia assume caratteristiche dif­ferenti e speciali lungo tutta la Penisola ed il vino diventa fondamentale perché è indubbio che non esiste nessun’altra bevanda alcolica al mondo che si abbina così perfettamente al cibo. Il vino è un paradigma assoluto di diversità, o meglio di biodi­ versità, e tanti appassionati sono probabilmente attratti da questo suo essere “anti-standard” in un mondo sem­pre più uniformato e globalizzato.

Quali sono i suoi territori del vino preferiti?

L’Italia del vino è bellissima dal nord al sud. È innegabile che alcune regioni, nel corso degli anni, sono diventate una sorta di biglietti da visita enoici dello Stivale, come il Piemonte e la Toscana, così come anche il Veneto, il Trentino e l’Alto Adige. Ma al di fuori di queste che sono già molto famose, c’è tutto il resto che vale la pena visi­tare. Inviterei a scendere verso il Centro-Sud, cominciando dall’Umbria, l’Abruzzo, il Lazio, le Marche con il Verdicchio, la Campania che negli ultimi anni produce buonissimi vini bianchi, con ben tre vitigni il Fiano, il Greco e la Falanghi­na. Per non parlare della Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. L’Italia è veramente incredibile. A differenza della Francia che fa il vino in poche zone, da noi si può piantare ovunque. E non solo uva. È un paese che ha un clima favorevole ad un’agricoltura di altissima qualità. E tutta l’agricoltura italiana, finita questa crisi, dovrebbe davvero ricevere una maggiore attenzione nei programmi della politica nazionale.

C’è un nesso tra vino e bellezza del territorio?

Si, questo vale soprattutto per il vino di altissima qualità. Il grande vino è un progetto estetico a 360 gradi. Nella va­lutazione di un vino oltre ad alcuni requisiti minimi, cioè che sia armonico al gusto e non abbia assolutamente nes­suna deviazione olfattiva, diventa fondamentale l’aspetto emozionale. Quindi un vino di grande qualità in un paesaggio bello diventa ancora più buono. Inter­vengono, in sostanza, alcuni fattori legati alla sfera delle neuroscienze ed al mondo emotivo.

Ciò che è bello diventa dunque anche buono?

Esattamente, le faccio un esempio personale. In questi ultimi anni ho viaggiato molto in treno per presentare il mio libro Il Respiro del vino. Durante i viaggi sono abituato ad ascoltare in cuffietta musi­ca classica, guardando fuori dal finestrino. In alcuni tragitti ho notato un po’ di abbandono e di incuria di alcuni territori. Ho però rilevato che con una bel­la musica nelle orecchie la visione di un paesaggio non molto piacevole diventava più tollerabile.

Il bello influenza altri aspetti sensoriali?

Certo, una bella cantina circondata da un bel pae­saggio predispone la mente ad un giudizio positivo. I maestri in questo sono stati i francesi con i loro Château di Bordeaux, curati nei minimi dettagli. Lo Château, ossia la bella residenza di rappresentan­za, circondata da vigne curate come giardini, crea un contesto ambientale che trasmette piacere e tranquillità, diventando un formidabile amplifica­tore della bellezza del vino.

Anche il ricordo di un paesaggio può predisporre la mente ad un giudizio positivo?

Questo è un altro aspetto importante ed è uno dei motivi per cui i luoghi del vino andrebbero visitati ancora di più. Se assaggio un vino in un luogo bello mi porterò il ricordo di quel vino e di quel territorio. E come se il vino ci facesse viaggiare virtualmente, richiamando alla mente alcuni luo­ghi. Stappando un vino della Napa Valley mi viene subito da pensare alla California e così, allo stes­so tempo, chi sta in California e degusta un vino irpino, ed è stato qui, penserà all’azienda e agli uomini che ci lavorano. È dunque fondamentale vedere di persona quello che c’è dietro una botti­glia: il paesaggio, le vigne, la cantina, gli uomini e le emozioni che lasciano le persone che si incon­trano. Tutto questo va mostrato, illustrato, cura­to e raccontato ai consumatori con gentilezza ed estrema semplicità e autenticità.

Stefano Borrelli

ARTICOLO TRATTO DA ” Il Sommelier Magazine

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